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«Le rovine di Selinunte, l’antica colonia ibleo-megarese, sono piùttosto lontane dal porto di Sciacca ed i rari turisti che le visitano ci vanno solitamente da Castelvetrano, stazione ferroviaria della linea Palermo-Trapani. È bene munirsi di provviste e non soffermarsi a lungo in questa zona, dove la malaria vieta le ricerche troppo prolungate degli studiosi di archeologia».

Molto è cambiato dal 1894, anno in cui lo scrittore, giornalista e politico francese, Roger Lambelin, visita la Sicilia e si ferma a Selinunte, per dare uno sgardo alla città “sopraffatta” dal potente esercito di Annibale in cui “furono passati a fil di spada sedicimila suoi difensori”. Il porto di Sciacca non è più così lontano e si raggiunge in quaranta minuti d’auto, mentre la malaria è un remoto ricordo dei nostri nonni. Ma, soprattutto, oggi i turisti che si lasciano ammaliare dal più vasto parco archeologico d’Europa sono tutt’altro che rari.

Affacciata sul Mar d’Africa, in magnifica posizione su un lieve pianoro, Selinunte fu la più occidentale delle colonie greche. I suoi resti oggi rappresentano una delle più importanti emergenze archelogiche del Mediterraneo a testimonianza dell’imponenza e della maestosità delle rovine che raccontano la grandezza raggiunta dalla colonia in poco meno di due secoli e mezzo dalla fondazione (V secolo a. Cristo). Il grande fascino che questo luogo suscita nei visitatori è accresciuto da una recente grande scoperta fatta dai geologi dell’Università di Camerino, secondo cui il sottosuolo dell’attuale parco archeologico nasconde una metropoli che venendo alla luce farebbe diventare Selinunte una nuova Pompei, nel cuore del Mediterraneo.

Nell’attesa che auspicabili risorse economiche diano la stura a nuovi scavi, i viaggiatori più curiosi ed interessati potranno comunque anelare ad una personale “scoperta” non esaurendo la propria visita nell’Acropoli e nelle fortificazioni della porta nord, come avviene per la maggior parte dei turisti: dall’estremità ovest della maggiore via trasversale dell’Acropoli si scende verso l’antico fiume Selinon, oggi Modione, si supera agevolmente grazie ad un ponte, e meno di 800 metri dopo, si possono ammirare gli scavi della Gàggera che hanno portato alla luce il Santuario della Malophoros. Si tratta del più antico tempio selinuntino dedicato a Dèmetra.

«Era questa rinomata città situata sopra la picciola eminenza di due colline, che dolcemente pendono verso la spiaggia del mare Africano, tra due fiumi Madione ed Ipsà, oggi chiamato Belice. Sopra queste colline ammirerà con istupore il Viandante le rovine dell’antica Selinunte, e conoscerà da ogni pietra quale sia stata la di lei magnificenza».

Così, nel 1817, scrive di Selinunte il grande archeologo e mecenate catanese Ignazio Paternò Castello nel suo Viaggio per tutte le antichità di Sicilia, mostrando tutto l’apprezzamento per un sito che, nonostante l’oblio durato molti secoli e l’impressionate forza demolitrice dei terremoti, conserva tutto il fascino che ancora oggi ammalia i visitatori.

Ma se il Principe di Biscari ha potuto descrivere nel suo compendio sui monumenti classici della Sicilia la magnificenza di Selinunte lo si deve ad altro grande studioso che ha riscoperto il sito nel 1501. Fu infatti lo storico Tommaso Fazello, dopo un accurato sopralluogo sui resti della colonia greca, a decretare che quei templi e quelle mura appartessero a Selinunte. Fino a quel momento infatti si credeva che la città fosse localizzata nell’attuale Mazara del Vallo

La lunga storia di Selinunte, del resto, è segnata da tramonti e resurrezioni: rasa al suolo una prima volta dai Cartaginesi nel 409 a. C., fu ripopolata dai profughi che inizialmente si erano rifugiati ad Akragas; i Cartaginesi la occuparono nuovamente e, nel 276 fu Pirro a prendere possesso della colonia greca fino a quando, 26 anni dopo, gli abitanti non furono definitivamente spostati a Lilibeo; un violentissimo terremoto in età bizantina, infine, pose la parola fine alla storia antica di Selinunte, risorta nei libri degli studiosi e nei resoconti dei viaggiatori del Grand Tour tra il Cinquecento e la fine del Settecento.

In età contemporanea Selinunte ha consolidato la sua magnificenza con l’istituzione di un Parco a protezione di 270 ettari e il susseguirsi di straordinarie scoperte da parte degli archeologi e degli geologi che potrebbero, nei prossimi anni, determinare una nuova ulteriore rinascita.

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