– Buonasera, ma qui solo pizze fate?
– E si piccolino bello, solo quelle sappiamo fare.
– Ma a me la pizze di Napoli non mi piacciono. Sono troppo sottili…
– Non ti preoccupare giovanotto, sei capitato nel posto giusto. Facciamo un cornicione alto quanto a te.
Con questo dialogo al limite del surreale tra mio figlio Federico, 5 anni, e Vincenzo Iannucci, solo 20 in più, ma affermato fuoriclasse dell’arte bianca napoletana, è cominciato il nostro pellegrinaggio nel tempio della pizza, in Via dei Tribunali 38. Antonio e Gigi Sorbillo sono gli eredi di una tradizione iniziata nel 1935 con nonno Luigi, capostipite di una famiglia di pizzaioli che oggi rappresenta per Napoli quello che i Ferrero rappresentano per Alba.
L’ultima impresa di Antonio e Gigi Sorbillo è stata la scoperta e la valorizzazione del talento di Enzo Iannucci. Il giovane pizzaiolo, oltre ad aver convinto il mio bambino a provare la sua pizza, ha il merito di aver portato un pizzico di innovazione e tanta tecnica nella storica famiglia dei pizzaioli di Via dei Tribunali, con il rispetto che si deve dell’antica e inaffondabile tradizione napoletana.
La marinara servita a Federico è una delle pizze migliori che io abbia mai gustato, il risultato di una maniacale attenzione per il lungo ed alchemico processo di lievitazione dell’impasto. Ingredienti di qualità, manualità e cottura impeccabili fanno il resto. Abbiamo poi apprezzato un’altra classica, la margherita, una margherita doc (con mozzarella di bufala) ed una ai formaggi, ma ancora di più la passione di Enzo che ci ha onorato della sua presenza al tavolo per raccontarci i vari passaggi della lavorazione dell’impasto con una dovizia di particolari che non teme spionaggi industriali.
I cugini Antonio e Gigi provengono della numerosissima famiglia Sorbillo costituita da i ventuno figli di Luigi, tutti pizzaioli. Gigi è il primo nipote della capostipite Esterina Sorbillo, scomparsa alla fine di marzo 2010. Gli elementi che rendono unico il loro locale sono la “filosofia” di pizza completamente diversa da quella a “ruota di carretto” che caratterizza da sempre la zona di Via Tribunali, ed il fatto che è la sola pizzeria a servire i dolci del maestro Salvatore Gabbiano, dal 2006 membro della prestigiosa Accademia Maestri Pasticceri Italiani.
La novità assoluta presentata proprio in questi giorni ai giornalisti spezializzati è la pizza Tribunali 38 con tartufo nero e Caciocavallo podolico di Bagnoli Irpino, uova, provola e olio extravergine di oliva Teti Torretta. Un capolavoro di innovazione e tradizione di Enzo Iannucci che fa il paio con il dessert Tribunali 38, l’ultimo in casa Gabbiano, con crema di banana, ganache montata con passion fruit, cremoso di cioccolato al latte, composta di passion fruit Crumble ricoperto di cioccolato al latte.
Sorbillo è per noi una tappa obbligata del viaggio a Napoli. Una metà irrinunciabile al pari del Museo della reggia di Capodimonte e di Castel dell’Ovo.
Anzi, se venite dalle parti di Via dei Tribunali, oltre ad immergervi nelle vicine e popolari Spaccanapoli, Via Toledo e San Giovanni Armeno (con i suoi famosi presepi artigianali), vi consigliamo una visita alla Quadreria del Pio Monte della Misericordia, in Via dei Tribunali 253. Nella chiesa annessa potrete ammirare uno dei tre capolavori che costituscono l’itinerario caravaggesco a Napoli: “Le sette opere di misericordia” è forse il dipinto più rappresentativo della forza espressiva e comunicativa del grande e controverso maestro dell’arte pittorica rinascimentale.
Poco distante, nel Museo della Cappella di San Severo, in via Francesco De Sanctis 19, non potete perdervi il Cristo velato di Giuseppe Sammartino, un’opera scultorea definita tra le più belle e suggestive del mondo, certamente un capolavoro che da solo vale un viaggio a Napoli.
Caravaggio, Antonio e Gino Sorbillo con le pizze del loro pupillo Enzo Iannucci, il Cristo Velato, i presepi di San Giovanni Armeno, tutto nel volgere di poche centinaia di metri in un turbinio di emozioni visive, suggestioni ed estasi gustative che ti fanno gridare al miracolo. E qui San Gennaro (non ce ne voglia) c’entra davvero poco.
Damiano Chiaramonte