In taluni boschi degli Iblei, da oltre vent’anni, alla magia dei funghi tipici si è aggiunta quella ancora più misteriosa e di segreta toponomastica dei tartufi. Tuberi che crescono sotto terra attivando, nei periodi scanditi da madre natura, molecole aromatiche che solo le narici sensibili di cani ben addestrati riescono a percepire, consentendo agli esperti cercatori di cavarli dal sottosuolo.
Nella foto in alto d’apertura alcuni tartufi nelle mani del cercatore e il bosco di Baulì, luogo privilegiato per la raccolta e per gustarli nel Feudo omonimo
“La cultura del tartufo è davvero recente – spiega Carmelo Maiorca vicepresidente regionale di Slow Food Sicilia – ed è un aspetto davvero interessante la progressiva individuazione di specie diverse, anche in relazione alla stagionalità. E che avvenga nell’altopiano ibleo non stupisce, considerando la sua straordinaria biodiversità. La scoperta dei tartufi ha sinora interessato il versante siracusano, non esclusivamente, ma in particolare la zona di Palazzolo Acreide. La migliorata offerta gastronomica di piatti che lo valorizzano da parte di alcuni chef sta a dimostrarlo”
E a proposito delle caratteristiche geo-morfologiche del territorio di Palazzolo, il primo cittadino, Carlo Scibetta si sofferma sulle sue peculiarità.
“Il ritrovamento di tartufi nei diversi periodi dell’anno – spiega il Sindaco – è la conferma della potenzialità tartufigena di questo territorio e, anche se non si ha ancora uno studio sulle quantità di tartufo raccolte annualmente, si può affermare che è certamente venduto in taluni esercizi commerciali ed è possibile degustarlo tutto l’anno in alcuni ristoranti di Palazzolo che lo propongono in vari piatti. Il tartufo, come altri funghi spontanei, costituisce con il suo particolare odore e sapore una peculiarità di questo territorio da cui la gastronomia, e non solo, potrà sicuramente ottenere vantaggi e benefici”.
Sono nella prima metà dell’Ottocento si hanno le prime segnalazioni di tartufi nel territorio siciliano, relegati nell’ambito scientifico.Si deve attendere oltre mezzo secolo per riaccendere l’interesse. Il sospetto che l’altopiano ibleo fosse terreno idoneo era sorto da tmepo nei soci del neonato gruppo siracusano dell’Associazione micologica Bresadola.
”Nella primavera del 92 un amico appassionato bonsaista preparando una margotta da una piantina di roverella, si ritrova fra le mani due tuberi neri bitorzoluti che non aveva mai visto- spiega Paolo Caligiore dell’Associazione micologica Bresadola- e la mia prima sommaria diagnosi fu Tuber Aestivum, ma due elementi non mi convinsero, il colore della gleba e l’assenza totale di odore. Si chiese l’aiuto degli esperti dell’Amb nazionale che confermarono la mia diagnosi. Dopo quasi un secolo era il primo ritrovamento di un tartufo dalla Campania in giù. Dopo ulteriori monitoraggi del terreno, grazie anche all’ausilio dell’università di Palermo nell’autunno dello stesso anno si ritrovarono numerosi esemplari di Tuber Aestivum (Scorzone) e negli anni successi vi spuntarono il Tuber Excavatum, Rufum, Panniferum, Puberulum, insomma tutte le specie a crescita estiva”
Tartufo e gastronomia. Lo chef Andrea Alì ci spiega come usarlo in cucina
“Il mio primo incontro con questo prodotto risale a molto tempo addietro – afferma Andrea Alì – quando degli amici mi portarono un tubero. Preparammo acqua, sale un chilo di spaghetti e giù in padella tutto il tartufo. L’impatto fu traumatico, perché profumi, sapore, persistenza aromatica si rivelarono diversi da quello che avevamo pensato. Oggi sappiamo che quel tartufo era troppo ,maturo. Il modo migliore per conservare il tartufo è in frigo alla temperatura di 4 gradi centigradi, avvolto in un piccolo panno di stoffa o di carta messo dentro un vaso di vetro chiuso. In queste condizioni si mantiene per circa otto giorni . Rispetto all’utilizzo, bisogna avere a portata di mano una spazzola per potere pulire bene il tubero sino in fondo. Fatto ciò, dalle pezzature più piccole si può ricavare un patè, mentre i tartufi più grandi sono da tagliare a scaglie. Gli abbinamenti possono essere vari, lasciando sempre al tartufo la possibilità di esprimerne le sue peculiarità”.